E così, siamo ormai nel 1905, anche il secondo rifugio al Lago Scaffaiolo sta lentamente crollando, ha subito ruberie e saccheggi.
Il mondo però nel 1905 è assai cambiato rispetto al mondo che aveva visto, nel 1878, la nascita del primo rifugio presso il Lago: gli escursionisti si muovono ancora per la maggioranza in treno, anche se iniziano a farsi vedere le prime traballanti auto-corriere sulla tratta Pracchia-Pievepelago (assolutamente sconsigliate ai deboli di stomaco, quei tornanti dell’ Abetone!), ma soprattutto nei primi anni del secolo è stata aperta la grande strada dell’ Alto Crinale, la Porretta- Lizzano-Fanano-Sestola-Pievepelago a collegare la strada Porrettana alla Via Giardini. Diventa quindi più facile raggiungere il Lago da Vidiciatico, che insieme con Lizzano, sta diventano mèta turistica ricercata e alla moda. I Bolognesi, ma non solo, iniziano così a scoprire la montagna, che diventa luogo non solo per pochi “esaltati” che andavano in cima ad un monte, ma diventa un luogo di turismo, diremmo oggi, “di massa”.
E’ in questo nuovo clima di fermento, che gli alpinisti bolognesi tornano ad interessarsi al Lago Scaffaiolo, e soprattutto al rifugio, decidendo non di costruire un nuovo rifugio ma di ricostruire in maniera radicale quello già esistente.
La decisione fu presa dall’ Assemblea dei Soci del 02 febbraio 1911, stanziando una congrua cifra in bilancio e sottoscrivendo un contributo individuale di 10 lire per socio.
Incaricato dei lavori fu il socio CAI Ettore Bortolotti, stimato professore all’Università di Modena, che nei mesi estivi soggiornava a Lizzano Pistoiese, il paese più vicino al Lago, e che quindi avrebbe potuto sorvegliare meglio i lavori. Nell’assemblea si decise, inoltre, di completare e restaurare il fabbricato esistente, di sorvegliarlo per impedire la distruzione da parte degli elementi naturali e degli uomini.
Le opere furono molte, a partire dai muri: il Rifugio aveva muri costruiti a secco ma ripieni di materiale friabile e poroso che a diretto contatto con il terreno faceva filtrare umidità che si spandeva per tutto l’edificio; addirittura la mal regolata pendenza del suolo faceva sì che le acque piovane erano scolate entro la porta del rifugio. Si dovette quindi isolare il rifugio regolando il displuvio delle acque. Lungo il fianco si costruì un robusto muro a secco, stuccato a calce; davanti alla facciata si mise un piastronato per far sì che lo spiazzo resti asciutto e pulito.
Tutti i muri che presentavano lesioni furono demoliti e rifatti: si stuccò ogni fessura delle pareti.
Il dormitorio posto al piano superiore presentava un pavimento ancora in discrete condizioni ma fu comunque accuratamente ristrutturato chiudendo le fessure con cemento; mentre il pavimento del piano inferiore fu completamente rifatto. Il pavimento della cucina fu reso impermeabile grazie ad un vespaio profondo 25 cm a cui si sovrapposto uno strato di 5 cm di cemento misto a ghiaia e sopra un’ulteriore rifinitura sempre in cemento. Questo faceva sì che il rifugio fosse sano ed asciutto in qualsiasi stagione.
Ristrutturato l’ interno, bisognava pensare anche all’ esterno. Nel precedente rifugio, entrambi gli ingressi erano rivolti a nord e questo faceva sì che le nevicate ostruissero le entrate, poiché la neve era portata contro la porta formando una vera e propria “trincea” ancora alta anche a maggio. Così di fatto, in inverno il rifugio diventava inservibile anche a chi ne avrebbe avuto bisogno; ma nelle altre stagioni era preda di vandali, questo perchè sia la porta che le imposte erano apribili dall’esterno.
Il rifugio precedente, inoltre, non era custodito: nessuno si era preso cura di sorvegliare l’edificio, non il CAI di Firenze, non il Comune di Cutigliano. Non può stupire quindi, se ancora prima di essere terminato, il secondo rifugio era già stato devastato e bruciato ed asportate le imposte e le poche suppellettili presenti all’ interno. Per evitare un simile scempio, nel terzo rifugio fu eliminata un’entrata, chiusa con un muro a calce. Dall’unica entrata rimasta si accedeva ad una stanza ad uso del pubblico e si accedeva alla cucina tramite una porta anche essa foderata in lamiera, munita di serratura e due catenacci oltre che da una grossa spranga di ferro che da un capo si fissava ad un occhiello fisso al pavimento: la grande novità era che la spranga si poteva togliere solo dall’ interno.
La cucina comunicava con il piano superiore tramite una scala mobile ed una botola, chiusa dal di sopra con una robusta spranga di ferro: in questo modo,chiuse le due porte,ritirata la scala e chiusa la botola nessuno poteva entrare nel rifugio se non dalla finestra del piano superiore,anch’essa però dotata di robusta (almeno per l’epoca) inferriata.
Rispetto ai rifugi precedenti, il terzo rifugio è dotato anche di un certo arredamento:una stufa, un tavolo, due panche e sei sgabelli, oltre a un paiolo, una padella,stoviglie, piatti e posate ed una intera batteria da cucina in ferro smaltato. Nel dormitorio c’è un tavolaccio con su quattro pagliericci e 12 panni in lana per poter così ospitare sei persone. Nella cameretta presso la cantina c’è la possibilità di mettere una branda, nel caso in cui una Signora (siamo pur sempre agli inizi del Novecento) volesse pernottare al Rifugio.
I lavori iniziarono il 4 agosto e furono collaudati il 3 settembre; il rifugio fu inaugurato il 17 settembre 1911:non vi fu una vera cerimonia, intervennero solo un centinaio di soci della Sezione di Bologna, una comitiva di soci da Firenze, un rappresentante del Comune di Bologna e molti valligiani.
Inizia quindi la terza vita del Rifugio, e i primi anni tutto fila liscio, con il Rifugio perfettamente efficiente.
Ma poi succede qualcosa che sconvolge le rive del lago: gli alpinisti bolognesi, i montanari, partono per luoghi lontani e molti non torneranno: è la Prima Guerra Mondiale.
Il Rifugio è quindi dinuovo abbandonato:le suppellettili, i materassi, sono cose appetibili; il resto lo fa il gelo e la tormenta dell’ inverno: nel 1922 il terzo Rifugio è solo un mucchio di rovine pericolanti. Ma nel 1925….
-Fine terza parte-
Testo Fabrizio Borgognoni
La cronaca di una gita d’altri tempi: Il Resto del Carlino “Una gita al Lago Scaffaiolo”-1912
E una gita alla conquista del Corno alle Scale nel 1910: Nuter nro 2-1990- a cura di Francesco Berti Arnoaldi Veli