Il mio primo incontro con gli elfi risale alla metà degli anni Ottanta (ormai del secolo scorso..) quando, un giorno di mercato a Pistoia, rimasi incuriosito da un banchetto che esponeva latte, verdura e frutti di bosco. Cercavo di avvicinarmi -avevo circa 10 anni- ma il nonno mi disse di allontanarmi da quel banchetto di elfi.
“Chi sono gli elfi?” provai a chiedere ma il nonno, sempre di poche parole, liquidò la questione con “Gente strana”. La sera tornai alla carica, questa volta con la nonna che (come tutte le donne) era molto più illuminata del nonno. Non era “gente strana”, erano solo persone che avevano un modo di vivere diverso dal nostro, non più giusto o più sbagliato, solo diverso.
Poi, dimenticai gli elfi, i loro vestiti colorati e il loro banchetto anche se ciclicamente ne sentivo parlare. Abitavano sull’ Appennino Pistoiese, nei pressi di Sambuca occupando terre e ruderi abbandonati che loro, con pazienza, scarsi mezzi e tanta buona volontà avevano salvato dal degrado e rimesso a posto.
L’anno scorso inizio a leggere un libro, Tempo da Elfi, che mi fa tornare in mente il banchetto, i “si dice”, e tante altre cose: così decido, è giunta l’ora di conoscere gli elfi!
In una bella giornata di sole mi incammino su per un sentiero, supportato dalla diceria della gente che “si dice” gli elfi abitano là, passato il casolare, attraversato il prato, superato il fiume…e poi arrivo davvero ad una casa in pietra dove incontro Lucio (nome di fantasia) che con un bel sorriso mi chiede se voglio dell’ acqua, vista la giornata calda. Mi invita a sedermi sotto un pergolato, da dove si gode una bella vista e una bella brezza.
Iniziamo a chiacchierare, prima delle solite cose, che caldo, si ma qui tira un po’ di brezza, che panorama che hai, che pace…insomma frasi tra sconosciuti che non lasciano nulla. Poi mi decido e chiedo: senti, ma mi racconti la vita da elfo?
Chissà quante volte gli hanno fatto questa domanda, chissà quante volte ha raccontato la sua storia a persone che passano di qui, ma lui mi sorride e mi racconta.
Racconta che la vita da elfo non è sempre facile, Lucio è arrivato qui tra i primi- la valle degli Elfi nasce nel 1980- e l’ integrazione (se si può chiamare così) con la popolazione non è stata facile. C’era sospetto, diffidenza, ma anche un misto di curiosità e forse morbosità per queste persone “strane”, che vivevano nei boschi. All’inizio si viveva in comunità numerose, adattando ruderi e facendole diventare abitazioni: ma questo non piaceva alla popolazione. Mi racconta delle prime volte che sono arrivati i carabinieri, che intimarono agli occupanti di andare via dal borgo abbandonato dove si erano stabiliti, dando addirittura il foglio di via. Non c’è rabbia nelle sue parole, a tratti sorride, a tratti diventa malinconico ricordando i modi con cui venivano sgombrati. Che poi loro, gli elfi, neanche capivano perché non potevano stare lì: in fondo, stavano recuperando vecchi ruderi, il cui proprietario sicuramente defunto non aveva lasciato eredi o, anche se avesse eredi, a chi poteva interessare un rudere con un tetto ormai sfondato e invaso dalla vegetazione, lontano dal paese, raggiungibile con una vecchia strada più adatta ai muli che alle automobili? Da quegli anni lontani, gli Elfi si sono espansi in tutta la montagna, hanno riadattato case abbandonate trasformandole da ruderi in case confortevoli. E’ una comunità grande e tra quelle montagne, negli anni, sono nati più di duecento bambini, duecento elfetti che hanno riempito di urla e risate valli che altrimenti sarebbero rimaste desolate.
La vita di comunità era una vita comunitaria nel senso più largo del termine: si viveva raccogliendo frutti ed erbe spontanee, coltivando ortaggi, cereali, castagne, olive e allevando alcuni capi di bestiame, il tutto esclusivamente per la sussistenza. I prodotti della terra e i raccolti venivano infatti ripartiti fra tutti i villaggi in base alle necessità. Quello che non si riusciva a produrre lo si comprava nella piccola bottega a valle grazie ad una cassa comune per le spese spicciole di ogni villaggio ed una cassa individuale per soddisfare le esigenze dei singoli. Ognuno dà in base alla propria possibilità e coscienza e questo sistema funziona perché il principio ispiratore è la condivisione. Si scendeva poco a valle, una volta la settimana. Mi racconta Lucio che lui arriva da una grande città, ma quella non era la vita che voleva. Non sopporta il rumore, la gente sempre di fretta, il non riuscire mai a parlare neanche con il tuo vicino di casa. Nella comunità non esisteva un solo televisore, le notizie arrivavano solo di quando in quando, e questa facilitava il parlare, il comunicare tra le persone. Le decisioni venivano prese insieme, durante le assemblee. Ci si sedeva in cerchio, e ognuno parlava quando il bastone della parola arrivava nelle sue mani. E’ un bastone che gira in senso circolare, non si può interrompere o intervenire mentre una persona sta parlando; anche le decisioni vengono prese tutte dalla comunità.
Mentre parlo con Lucio, mi rendo conto che gli elfi non sono hippy un po’ fuori moda (lo ammetto, ho pensato anche questo) ma un miscuglio di tante cose, con la possibilità per ognuno di esprimersi, liberamente e spontaneamente. Il denaro è la cosa che meno importa: ognuno non viene considerato in base a cosa porta, ma in base a ciò che è e che dimostra di essere.
E’ ora di andare ormai, e il mio amico elfo mi saluta raccontandomi una storia, che è diventata un po’ il suo paradigma:
L’uomo d’affari vide con fastidio che il pescatore, sdraiato accanto alla propria barca, fumava tranquillamente la pipa.
“Perché non stai pescando?” domandò l’uomo d’affari.
“Perché ho già pescato abbastanza pesce per tutto il giorno”
“Perché non ne peschi ancora?”
“E cosa ne farei?”
“Guadagneresti più soldi. Allora potresti avere un motore da attaccare alla barca per andare al largo e pescare più pesci. Così potresti avere più denaro per acquistare una rete di nylon, e avendo più pesca avresti più denaro. Presto avrai tanto denaro da poterti comprare due barche o addirittura una flotta. Allora potresti essere ricco come me”.
“E a quel punto cosa farei?”
“Potresti rilassarti e goderti la vita”
“ Cosa credi stia facendo ora?”
Non c’è niente di più vero.
#PiediStanchieCuoreFelice
Testo ed immagini Fabrizio Borgognoni
Novembre 2023
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